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lunedì 12 dicembre 2011

Indice di corruzione: Italia pessima posizione (69°)

La corruzione continua ad affliggere troppi paesi nel mondo, secondo l' Index di Transparency International Corruption Perceptions 2011, pubblicato recentemente. Esso mostra che alcuni governi non riuscono a proteggere i cittadini dalla corruzione, dall'abuso delle risorse pubbliche, dalla reticenza decisionale.Transparency International ha avvertito che le proteste in tutto il mondo, spesso alimentate dacorruzione e instabilità economica, mostrano chiaramente che i cittadini sentono i loro leader ele istituzioni non sono né trasparenti né abbastanza responsabili."Quest'anno abbiamo visto la corruzione sui banner dei manifestanti sia dei paesi ricchi o poveri. Mentre
 l'Europa  è colpita dalla crisi del debito e il mondo arabo ha iniziato una nuova era politica, i leader devono ascoltare le richieste di un migliore governo ", ha detto Huguette Labelle, presidente di Transparency Internazionali.La percezione della corruzione Index 2011: I risultatiL'indice dei punteggi  di 183 paesi e territori da 0 (molto corrotto) a 10 (molto pulito) inbase ai livelli di percezione della corruzione nel settore pubblico. Esso utilizza i dati provenienti da 17 studi che guardano fattori come l'applicazione delle leggi anti-corruzione, l'accesso alle informazioni e i conflitti di interesse.Due terzi dei paesi classificati hanno un punteggio inferiore a 5.Nuova Zelanda è al primo posto, seguita da Finlandia e Danimarca. Somalia e Corea del Nord(Incluse nell'indice per la prima volta), sono gli ultimi.

Italia, al 69 posto, non brilla per trasparenza. troppo poco è stato fatto e tano c'è ancora da fare. L’Italia ottiene anche quest’anno una valutazione molto negativa, identica a quella dell’anno passato, di 3,9 su 10 collocandosi al 69° posto su 183 e al quartultimo posto in Europa, davanti solo a Grecia, Romania e Bulgaria.
“In questo periodo più che mai - dichiara la presidente di Transparency International Italia (TI-It), Maria Teresa Brassiolo – è necessario che tutte le forze politiche, le Istituzioni, il mondo imprenditoriale e la società civile si uniscano e lavorino insieme per raggiungere un obiettivo preciso: abbattere il livello di corruzione nel nostro Paese, diminuendo così i costi pubblici e quindi il debito, liberando allo stesso tempo risorse essenziali per quell’economia virtuosa che investe e crea lavoro certo e dignitoso. Un concreto ed efficace contrasto alla corruzione deve essere inserito come priorità assoluta per lo sviluppo”.
"Il 2011 ha visto il movimento di una maggiore trasparenza assumere uno slancio irresistibile, comecittadini di tutto il mondo una domanda di responsabilità da parte dei loro governi. L'alto punteggio di alcuni
 paesi dimostra che gli sforzi compiuti nel corso del tempo per migliorare la trasparenza può, se sostenuto, avere successo e beneficio per la gente ", ha detto Transparency International Managing Director,Cobus de Swardt.La maggior parte dei paesi arabi, nonostante la Primavera araba, hanno il rango nella metà inferiore dell'indice, punteggio inferiore a 4. Prima della primavera araba, un rapporto di Transparency International sulla regione aveva avvertito che nepotismo, corruzione e clientelismo erano così profondamente radicati nella vita quotidiana che anche le recenti leggi anti-corruzione ha avuto poco impatto.Paesi della zona euro che soffrono la crisi del debito, in parte a causa del fallimento delle autorità pubbliche ad affrontare la corruzione e l'evasione fiscale che sono importanti fattori di crisi del debito, hanno tra ipiù basso punteggio paesi dell'UE.Transparency International è l'organizzazione mondiale della società civile che porta la lotta contro la corruzionePer le tabelle completa graduatoria e regionale, visitare il sito: www.transparency.org / cpi

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martedì 15 novembre 2011

Dimissioni di Berlusconi: una sconfitta della politica

Le dimissioni di Berlusconi sono un segno di sconfitta e debolezza di tutta la classe politica italiana. Il sistema politico italiano è un sistema parlamentare, per cui solo il Parlamento può giustificare la nomina o le dimissioni del Primo Ministro. Il Capo dello Stato ha il ruolo di garante dell'unità nazionale e il rispetto per le legittime aspirazioni e le funzioni dei tre poteri dello Stato moderno. La situazione dei giorni precedenti eè stata molto insolita per la nostra storia politica: un presidente del Consiglio che non è stato sfiduciato dal Parlamento ma dai mercati internazionali. Un Presidente che non è riuscito a tenere il passo con le pressioni internazionali economiche e finanziarie. Berlusconi, un imprenditore di successo e un grande comunicatore, non è riuscito a trovare un modo per attuare le riforme fondamentali del nostro paese. Pur dichiarando la sua linea liberale e popolare e avendo una larga maggioranza parlamentare, non è stato in grado di realizzare quelle riforme del mercato del lavoro, dell'impresa, della concorrenza e fiscali che avrebbe dato all'Italia  una spinta fondamentale per lo sviluppo e la crescita . La crisi ha colpito duramente la zona euro, senza distinzione, ma il Bel Paese è stato vittima di interessi di parte, lobby nascoste e incapacità dei suoi ministri di effettuare il "bene del paese" con entusiasmo, convinzione e secondo una mentalità da "veri uomini di Stato ".Ma le dimissioni di Berlusconi e la nomina di un "esperto tecnico" come Mario Monti, mostrano l'incapacità di un'intera classe di formulare e costruire una alternativa politica. L'opposizione di centro-sinistra e il cosiddetto terzo polo non sono stati in grado di creare un fronte unico e alternativo. Hanno sempre criticato e accusato Berlusconi di incompetenza e miopia, ma senza produrre una politica e una coerenza parlamentare. Non hanno avuto il coraggio e la forza di assumersi la responsabilità di guidare il paese in questa fase molto difficile e critica. Nominare un governo di transizione significa lasciare ad altri la responsabilità di scelte dolorose e impopolari. La stessa lettera inviata dall'Unione europea non ha trovato una risposta unita e piena da parte dell'opposizione parlamentare. Sapremo come la classe politica italiana risponderà al programma del futuro governo Monti. Speriamo che le riforme per la modernizzazione e la crescita d'Italia siano attuate presto, bene e in profondità.

giovedì 20 ottobre 2011

Aiuti alla Somalia: paesi islamici in prima linea

Gli aiuti ai paesi poveri, come recentemente è accaduto per la drammatica situazione in Somalia, trova i paesi arabi e musulmani in prima linea nell'inviare aiuti economici e di risorse umane rispetto ai tradizionali paesi occidentali. Secondo un recente reportage dell'agenzia irin delle Nazioni Unite, la Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) ha donato 350 milioni di dollari per aiutare la gravissima situazione della popolazione somala. In sole tre ore di Telethon la TV del piccolo Qatar ha raccolto 6.8 milioni di dollari. La Turchia ha riferito di aver raccolto 250 milioni di dollari e anche Kuwaut ha fatto la sua parte con 3.-5 milioni. Insomma, i paesi arabi, specialmente a maggioranza musulmana, si stanno impegnando molto per essere a fianco dei bisognosi, evidentemente non solo per ragioni etiche ma anche per oportunità politiche e strategiche.
Purtroppo anche in questo campo, le differenze culturali tra occidentali e arabi si fanno sentire. Gli uni e gli altri, cioè i rappresentanti dei paesi musulmani e dall'altra quelli occidentali, si accusano a vicenda di 'usare' i poveri per portare avanti le proprie mire geopolitiche. I musulmani accusano gli occidentali di perpetrare un neo-colonialismo, sotto vesti diverse dal passato. Gli occidentali, in particolare quelli legati alle Nazioni Unite, criticano le organizzazioni musulmane di usare le avanzate tecniche e modalità operative dell'occidente per poi inserirsi e raccogliere tutto "il merito".
Non ultimo, il danno di una mancanza di coordinamento tra tutti gli operatori e agenzie presenti sul territorio al fine di rendere più efficiente l'aiuto umanitario alle popolazioni, raggiungendo il vero fine di far uscire dall'emergenza e iniziare una road map verso una situazione di pace e sostenibilità economica.
Fonte: http://www.irinnews.org/report.aspx?reportid=94010

lunedì 17 ottobre 2011

Giornata mondiale contro la fame: Governi manchevoli

"Anche se gli obiettivi di sviluppo del millennio venissero raggiunti per il 2015, nei paesi in via di sviluppo rimarrebbero comunque circa 600 milioni di persone sottonutrite.  E che 600 milioni di persone soffrano di fame cronica non è mai accettabile". E' quanto emerge dal nuovo rapporto 2011 sulla situazione della fame nel mondo, pubblicato dalla FAO,dal titolo  The State of Food Insecurity in the World  . In occasione della Giornata Mondiale contro la fame l'agenzia delle Nazioni Unite sottolinea che "l'intera comunità internazionale deve agire oggi ed agire in modo efficace per mettere al bando l'insicurezza alimentare dal pianeta".
Come si legge nel loro comunicato stampa "i Governi devono garantire un contesto normativo trasparente e sicuro, un contesto che promuova gli investimenti privati e faccia incrementare la produttività agricola.  Dobbiamo ridurre lo spreco di cibo nei paesi sviluppati con l'informazione e con politiche adeguate, e ridurre le perdite nei paesi in via di sviluppo con investimenti lungo tutta la catena alimentare, specialmente nella fase del dopo raccolto e della trasformazione alimentare.  Una gestione più sostenibile delle nostre risorse naturali, delle foreste e del patrimonio ittico è cruciale per la sicurezza alimentare dei più poveri".
Il tema di quest'anno è stato la volatilità dei prezzi alimentari, la quale "rende i piccoli contadini e i consumatori poveri sempre più vulnerabili ed esposti alla povertà, perchè alterazioni dei prezzi di breve periodo possono avere un impatto di lungo termine sullo sviluppo.  Un calo del reddito dovuto alle fluttuazioni dei prezzi, che causa un minor consumo di alimenti, può far ridurre l'assunzione di elementi nutritivi, chiave per i bambini durante i primi 1000 giorni dal concepimento, portando ad una riduzione permanente della loro futura capacità di guadagnarsi da vivere ed una maggiore probabilità di povertà nel futuro, con effetti negativi sull'intera economia".

Ma l'altalena dei prezzi, continua il rapporto, "ha colpito i paesi, le popolazioni e le famiglie in modo assai diverso.  I più esposti sono stati i poveri e gli indigenti, particolarmente in Africa, dove il numero delle persone sottonutrite è salito dell'8 per cento tra il 2007 ed il 2008, mentre in Asia è rimasto pressoché costante".

Contemporaneamente, occorrono reti di protezione sociale mirate ad alleviare l'insicurezza alimentare nel breve periodo, che devono essere programmate in anticipo, d'intesa con le popolazioni più vulnerabili.

Il rapporto sottolinea che gli investimenti in agricoltura rimangono l'elemento essenziale per una sicurezza alimentare duratura.  I settori chiave verso cui dirigere questi investimenti sono l'irrigazione, migliori pratiche di gestione della terra e lo sviluppo di sementi di migliore qualità mediante la ricerca agricola.

Insieme ad un incremento degli investimenti, una maggiore prevedibilità delle politiche ed una generale apertura al commercio sono strategie più efficaci rispetto ad altre come il divieto alle esportazioni, rileva il rapporto.  Politiche commerciali restrittive possono proteggere i prezzi nazionali dalle fluttuazioni dei prezzi internazionali, ma tali restrizioni spesso aumentano la vulnerabilità della produzione nazionale a possibili shock, non riuscendo così a ridurre la volatilità dei prezzi a livello nazionale.  Misure commerciali restrittive inoltre rischiano di far aumentare la volatilità ed i prezzi sui mercati internazionali.

La migliore stima della FAO sul numero delle persone che soffrono la fame rimane per il 2010 quella di 925 milioni di persone, mentre per il periodo 2006-2008 era di 850 milioni

giovedì 13 ottobre 2011

Il Ghana combatte la credenza nelle streghe

Il governo del Ghana sta operando per salvare e aiutare le donne e i bambini accusati di stregoneria dalla popolazione . Ancora oggi la piaga della stregoneria è presente nelle terre più povere e analfabete dello stato africano. Circa 1000 donne e 700 bambini sono raccolti in sei campi di rifugio nel nord del paese. Seconod il raporto di Unicef almeno i 8 paesi africani dell'area sub sahariana presentano centinaia di casi di accuse si stregonerai verso i bambini., Secondo l'Unicef sono tre le categorie 'colpite' da tali tremende accuse: gli orfani che vivono in povertà nelle città e hanno qualche 'diversità' fisica, come testa grande, pancia pronunciata, occhi rossi; quelli nati prematuramente o nati con modalità anormale; infine i bimbi albini, i cui sangue e organi sono ritenuti avere poteri magici.
Secondo Hajia Hawawu Boya Gariba, ministro del Ghana a difesa delle donne e i bambini, ci sono anche alcuni uomini nei campi di protezione, perchè accusati di essere degli 'stregoni'.
Una piaga che fatica ad essere debellata ma che trova sempre più spesso l'impegno dei governi a combatterla e promuovere misure di protezione e prevenzione.

Fonte: Ghana’s government is looking at ways to support people accused of witchcraft - mainly women and children banished by their communities to “witches’ camps” in the north - and to reintegrate them in their home villages  http://www.irinnews.org/report.aspx?reportID=93961

mercoledì 12 ottobre 2011

Il "vescovo rosso" dell'Honduras si candida alla presidenza

Il "vescovo rosso" dell'Honduras afferma che correrà per la Presidenza della nazione centroamericana se ottiene il permesso da Papa Benedetto XVI.
Il Vescovo Luis Santos Villeda di Santa Rosa de Copan festeggerà il suo settantacinquesimo compleanno in novembre e prevede di presentare immediatamente le sue dimissioni al Vaticano, come richiesto dal diritto canonico. Una volta che le sue dimissioni saranno accettate egli si sentirà libero dalla responsabilità del vescovo, dice monsignore Santos, e potrà partecipare alla campagna elettorale per la Presidenza come un candidato di un’ala progressiva del partito liberale, il cui ultimo Presidente, Manuel Zelaya, fu deposto in un colpo di stato nel 2009.
"Non aspiro ad essere presidente dell'Honduras. Questa non è una mia idea," confessa il vescovo Santos a Catholic News Service.
Santos ha rivelato che gli era stata richiesto dai leader del partito liberale negli anni novanta e di nuovo nel 2009, di diventare un candidato, ma in entrambe le volte aveva rifiutato.
"Ma ora che sono in pensione come vescovo, spero di parlare con il Papa e ottenere il suo permesso. Vorrei non più essere vescovo o avere qualsiasi ufficio di Chiesa, ma restare solo un prete. Poter celebrare messa privatamente al mattino prima di andare in ufficio alle 8" ha detto Santos.
Il Vescovo Santos è stato a lungo un sostenitore pubblico del partito liberale, la cui bandiera rossa ha contribuito al suo soprannome. Fu anche un avversario stridente del golpe 2009, una posizione che lo mise in disaccordo con il cardinale Tegucigalpa Oscar Rodriguez Maradiaga, che ha sostenuto il colpo di stato.
Gli analisti dicono che il supporto per il colpo di stato del cardinale gli costò un capitale politico; il cardinale è visto molto meno spesso in pubblico in questi giorni. Monsignore Santos, d'altra parte, rimane altamente visibile, nonostante la sua diocesi sia in una zona remota occidentale, che comprende alcune delle comunità più povere dell'America centrale. È stato un sostenitore entusiastico della resistenza, la coalizione di gruppi civili di opposizione al governo dopo il colpo di stato.
Tuttavia, non tutti sarebbe soddisfatti di una candidatura del vescovo Santos.

"La decisione del vescovo di essere coinvolto nella politica dopo il pensionamento come vescovo fa danni alla Chiesa e danni alla politica," ha detto il padre gesuita Ismael Moreno, direttore di Radio Progreso, una stazione strettamente identificata con la sinistra honduregna.
"La politica qui è storicamente legata clericalismo. Così quando un sacerdote o un vescovo decide di partecipare alla sua parte politica, non ci aiutano muoversi verso una cultura politica della cittadinanza” ha detto il padre Moreno.
"E danneggerebbe la chiesa perché egli non sarebbe un vescovo dell'unità o del confronto. Così dividerebbe i cattolici ancora di più di quanto essi siano già divisi ora e non in nome della lotta per i poveri, ma piuttosto in nome della politica di partito. Che sarebbe un danno per quelli nella Chiesa che stanno lottando per servire la comunità senza essere interessati a raggiungere quote di potere" ha detto il padre Moreno.
Thelma Mejia, un giornalista indipendente e analista politico a Tegucigalpa, presenta le difficoltà che Santos possa essere eletto presidente.
"Mentre lui ha l'appoggio all'interno di una fazione del partito liberale, egli non è molto eleggibile data la sua natura polemica e la sua posizione conflittuale permanente. Gli onduregni in generale non amano lo scontro frontale, e dal colpo di stato, siamo ancora più stanchi del confronto" ha detto.
Mejia ha detto che i sondaggi mostrano che oltre il 50 per cento del onduregni si identificano come centrista, indipendenti dai partiti liberale e nazionale, che hanno dominato la politica del paese per un secolo.
"Abbiamo bisogno di un leader politico che fa appello a questo centro, al fine di effettuare la modifica di cui abbiamo bisogno". E nessuno dalla resistenza, né dalla tradizione bipartisan è apparso come potenziale candidato.
Santos vescovo respinge l'idea che i capi della Chiesa devono rimanere all'esterno della politica.
"È molto conveniente per i ricchi che la chiesa rimanga fuori della politica, perché in questo modo possono maltrattare e rubare i poveri senza che la Chiesa protesti. Sono felici perché nessun sacerdote si lamenta. E se uno lo fa, essi lo etichettano come un comunista”, ha detto il vescovo.
"Perché mi coinvolgo nella politica? Perché è la politica che ha sfruttato i poveri" ha detto il vescovo.
I vescovi cattolici in Honduras sono rimasti tranquilli in materia politica perché sono stranieri.
"Se intervengono nella politica interna dell'Honduras, essi potrebbero perdere la loro residenza così, alla fine della giornata, essi rimangono tranquilli. Ma è la politica che rende le persone povere, che lascia le cliniche e gli ospedali senza medicine, che ruba soldi dai villaggi. È la politica che supporta la corruzione dilagante in Honduras. Come vescovo, non posso essere disinteressato della salute e l'educazione dei bambini, l'ultimo dei miei fratelli e sorelle" ha detto il vescovo Santos.

giovedì 6 ottobre 2011

Cina: ancora finanziamenti per sfruttare l'Africa?

Il gigante Cina ancora una volta ha messo 'le mani' dentro al continente nero. Questa volta è stata la Tanzania a chiedere i suoi finanziamenti per sfruttare le risorse di gas, vista la sua cronica dipendenza per le materie energetiche dall'estero. La Tanzania ha come principale fonte energetica l'idroelettrico, che costituisce il 70% dell'energia e che ultimamente, a causa della scarsità delle precipazioni e del cambiamento climatico, sembra in pericoloso declino. La Cina ha assicurato 1,6 miliardi di dollari per sfruttare il gas presente nela zona di Mtwara, a sud della capitale Dar es Salaam, e la costruzione di un gasdotto, che dovrebbe iniziare nel Dicembre 2012. Questo risolvere così i gravi problemi di approvigionamento energetico che hanno causato il razionamento dell'ore di elettricità durante la giornata.
http://www.southernafricareport.com/Member/SecurePages/SecureNews.aspx?niid=11321

lunedì 3 ottobre 2011

La parocchia per creare lavoro

In tempo di crisi, nell'America di Obama, anche la Chiesa cattolcia americana, nelle sue parrocchie si impegna per aiutare la drammatica condizione delle minoranze che soffre più delle altre la mancanza di lavoro. In un tempo di alta disoccupazione, padre Adrew O'Connore, della parrocchia della Sacra Famiglia, nel Bronx newyorkese, ha pensato di andare concretamente in aiuto ai suoi parrocchiani iinstallando una sorta di 'fabbrica' di indumenti con stoffa proveniente dal Guatemala. Padre Andrew è stato 'illuminato', si potebbe dire, non solo dall'esempio di san Paolo, che fabbricava tende, ma anche da monsignore Gregory Schaffer, parroco di New Ulm, in Minnesota, che importava direttamente dal guatemale miele e caffè, portano benefici alla popolazione locale guatemaltca e al mercato americano.
Per leggere l'intera storia: http://ncronline.org/news/faith-parish/parish-turns-manufacturing

sabato 1 ottobre 2011

Lo Zambia alla Cina: rispettate le nostre leggi

Rispettate le nostre leggi, non possiamo permettere lo sfruttamento dei nostri lavoratori zambiani”. Sono dure le prime parole di Michael Sata, nuovo presidente dello Zambia, all’ambasciatore della Cina. Espressioni che avevano già contrassegnato la sua campagna elettorale a difesa dei lavoratori locali e molto critica con le multinazionali, in particolar modo quelle cinesi, che hanno fatto dello Zambia, ricchissimo paese di risorse minerarie, una ‘terra di conquista e sfruttamento’. Leader del maggiore partito dell’opposizione, il Fronte Patriottico (FP), Sata ha vinto con il 43% dei voti le recenti elezioni democratiche multipartitiche svoltesi lo scorso 20 settembre. Soprannominato “il re cobra’, questo 74enne ha ottenuto la vittoria dopo aver perso le precedente due tornate elettorali del 2001 e 2006, presentandosi come la voce dei poveri e degli sfruttati, soprattutto delle città e dei giovani. Sata ha costruito la sua immagine di uomo politico carismatico attraverso alcune iniziative politiche attuate durante i suoi precedenti incarichi a livello locale nel settore della sanità, igiene e dell’educazione, come quando introdusse una legge contro “chi urina, defeca e sporca nei luoghi pubblici” o come quando si presentava improvvisamente negli ospedali e rimproverava o sanzionava pubblicamente e duramente gli “impiegati pigri e improduttivi”. Sata, che ha costruito in pochi anni un vasto partito politico attraversando in lungo e in largo le campagne dello Zambia, saputo vincere contro il potente Rupiah Banda, del partito del Movimento per una Democrazie Multipartitica (MDM), rimasto al potere per 20 anni, che aveva fatto della crescita economica un vanto personale. La fase pre-elettorale è stata caratterizzata da forti tensioni e violenze, come spesso accade nei paesi africani, dove le diverse appartenenze etniche e tribali, segnano ogni livello e genere di relazione e rapporto, politico e sociale.
Dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’Inghilterra nel 1964 e un sistema multipartitico nel 1991, lo Zambia, con i suoi 12 milioni di abitanti, ha raggiunto nell’ultimo decennio grandi livelli di crescita economica. Secondo i dati ufficiali, confermati anche dalla Banca Mondiale, il tasso medio di crescita è stato del 5-6%, addirittura del 7.6% nel 2010. Trainata soprattutto dalla estrazione di rame, di cui è tra i maggiori esportatori mondiali, il documento Zambia Vision 2030, ha allargato anche al rinnovamento del settore agricolo e delle infrastrutture gli sforzi di politica economica. Anche il recente piano quinquennale di programmazione 2011-2016, dal titolo “Sostegno alla crescita economica e alla riduzione della povertà”, ha ulteriormente focalizzato la strategia a medio termine sulle infrastrutture e sul capitale umano. Per questo le parole di Sata sono state un forte e chiaro avvertimento a tutti gli investitori stranieri, e cinesi in particolare, che dovranno “dare salari più equi ed elevati ai lavoratori locali e valorizzare i zambiani nelle piccole attività, come i ristoranti, evitando di importare forza lavoro straniera a discapito di quella interna”. La Cina, infatti, ha investito molto in questo paese africano. Il paese africano, infatti, pur avendo raggiunto alti livelli di crescita, non ha visto una giusta ed equa redistribuzione della enorme ricchezza creata dalle multinazionali. Secondo un rapporto dell’agenzia della Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) la malaria causa ancora oggi 50 mila morti ogni anno (il 23% di tutte le mori del paese), la diarrea circa il 7%. Secondo un studio di una ong locale, riporta l’agenzia fides, solo il 58% degli abitanti dello Zambia ha accesso ai servizi igienici sanitari adeguati, mentre il 13% non dispone di nessun tipo di  toilette. Il governo ha provveduto a migliorare i sistemi idrici e sanitari nelle zone urbane, lasciando gli insediamenti urbani semiperiferici ad alta densità di popolazione, privi di spazi, con un terreno povero non adatto alla costruzione di latrine e con una precaria rete stradale che ha contribuito ad aggravare seriamente i problemi di drenaggio delle acque. Nonostante i progressi ottenuti il 59% della popolazione vive la linea di povertà, dei 2 dollari al giorno, e il 37% è estremamente povera. Anche il dramma dell’HIV/AIDS aggrava la situazione dei poveri, ed è ancora molto diffuso. Secondo il Consiglio Nazionale della lotta all’Aids, un adulto su tre è infetto e i dati del 2009 dicono che ogni giorno 200 adulti contraggono l’infezione. Le voci critiche non mancano, come quella del Jesuit Centre for Theological Reflection di Lusaka, che nel riconoscere questi progressi macroeconomici, ricorda però che “la crescita economica non si traduce automaticamente in sviluppo economico attraverso l'effetto trickledown”, la teoria secondo cui la ricchezza accumulata da pochi avrà effetti positivi anche sugli strati sociali meno abbienti aumentando il benessere sociale dell’intera collettività. “La teoria altamente pubblicizzata del trickledown - continua la nota - è più una forma di retorica politica che una realtà. Essa può produrre crescita economica, ma non sempre garantisce lo sviluppo economico. I cittadini dello Zambia hanno bisogno di vedere cose tangibili, come l'accesso ai servizi sanitari di qualità, all’acqua potabile, ad un alloggio e ad un lavoro dignitosi, di avvertire l'effetto della crescita e non di mere statistiche economiche”.
“La crescita economica della quale siamo così orgogliosi non deve farci perdere di vista l’obbiettivo dello sradicamento della povertà e della disuguaglianza nello Zambia” affermano i gesuiti. I religiosi criticano in particolare il modo con il quale viene ridistribuita la ricchezza prodotta: “un’economia in crescita che destina solo lo 0,2% del bilancio del 2011 ai fondi sociali per le persone più vulnerabili, che costituiscono la maggioranza della popolazione, e che permette solo al 36% della popolazione di vivere al di sopra della linea di povertà, non è una crescita della quale essere orgogliosi. Dopo aver messo l'economia sul sentiero della crescita, il Governo ha di fronte una sfida più grande: garantire che la crescita economica sia equamente condivisa”. L’Indice di Sviluppo Umano dell’ONU del 2010 ha mostrato chiaramente come le condizioni di vita si siano deteriorate in Zambia, e come il Paese sia uno dei tre Paesi che stanno peggio di come stavano nel 1970. Le sfide del neo presidente sono ancora tante, ma il sostegno della popolazione e delle maggiori istituzioni internazionali sono un buon auspicio.

domenica 24 luglio 2011

Africa guarda meno all'occidente e di più ai paesi emergenti

L'annuale report dell'Ocse sulla situazine e le prospettive dell'Africa, per il 2011, dipingono una prospettiva positiva per tanti paesi del continente nero, di crescita economica, soprattutto perchè i vari paesi, soprattutto quelli con materie prime e risorse naturali, stanno rivolgendo la loro attenzione e gli spazi di investimento aii paesi emergenti piuttosto che a quelli delle vecchie economcie coloniali. Più Bric che Usa e Europa.

Guarda il mio articolo apparso su http://www.ilgazzettino.it/ del 23 luglio a pagina 23, nella rubrica l'analisi.http://web.worldbank.org/WBSITE/EXTERNAL/EXTDEC/EXTDECPROSPECTS/GEPEXT/0,,contentMDK:22804791~pagePK:51087946~piPK:51087916~theSitePK:538110,00.html

mercoledì 6 luglio 2011

Benedetto XVI, la FAO, la fame e le donne

"La povertà, il sottosviluppo e quindi la fame sono spesso il risultato di atteggiamenti egoistici che partendo dal cuore dell’uomo si manifestano nel suo agire sociale, negli scambi economici, nelle condizioni di mercato, nel mancato accesso al cibo e si traducono nella negazione del diritto primario di ogni persona a nutrirsi e quindi ad essere libero dalla fame". Ecco il chiaro e forte appello di papa Benedetto XVI ai partecipanti alla 34 Assemlea generalee della FAO lo scorso 1 Luglio sulle reali cause antropologiche della fame e della povertà. Il cuore dell'uomo è il centro da cui si muove ogni scelta, asia incampo personale che sociale. Per questo occorre andare al cuore del problema e non accontentarsi solo di guardare alle cause prossime e alle sue conseguenze immediate e più evidente come dice lo stesso papa. Infatti "una completa riflessione impone di ricercare le cause di tale situazione non limitandosi ai livelli di produzione, alla crescente domanda di alimenti o alla volatilità dei prezzi: fattori che, sebbene importanti, rischiano di far leggere il dramma della fame in chiave esclusivamente tecnica".
La speculazione anche sui beni agricoli è una cosa da condannare sempre, anche perchè non permette un'adeguata politica di sviluppo soprattutto per i paesi poveri o in via di sviluppo: "come possiamo tacere il fatto che anche il cibo è diventato oggetto di speculazioni o è legato agli andamenti di un mercato finanziario che, privo di regole certe e povero di principi morali, appare ancorato al solo obiettivo del profitto?". Benedetto XVI diche chiaramente che "l’alimentazione è una condizione che tocca il fondamentale diritto alla vita". Non si può sfuggire a questo appello! "Garantirla - continua il papa - significa anche agire direttamente e senza indugio su quei fattori che nel settore agricolo gravano in modo negativo sulla capacità di lavorazione, sui meccanismi della distribuzione e sul mercato internazionale. E questo, pur in presenza di una produzione alimentare globale che, secondo la FAO e autorevoli esperti, è in grado di sfamare la popolazione mondiale".
Serve un nuovo modello di sviluppo e un cambio di strategia.
La stessa FAO, recentemente, aveva ancehe presentato un ulteriore dato sullo squilibrio del settore agricolo soprattutto nei paesi poveri, colpiti anche da una disparità di genere.
Innfatti, si legge nel rapporto Le donne in agricoltura, rapporto 2010-11, dice che "anche in agriciltura le donne non hanno eguale accesso alle risorse, sono sotto impiegate o mal pagate, operano in fattorie troppo piccole, hanno meno accesso al credito, spesso ipigate solo part-time o in lavori stagionali senza continuità".
Nonostante le donne occupino il 43% della forza lavoro in agricoltura a livello mondiale, toccando però il oltre il 50% nei paesi dell'Africa sub-sahariana e nel sud-est asiatico, non sono valorizzate e coonsiderate alla pari degli uomini. Dice lo studio della FAO che se le donne avessero parità di genere, la produzione potrebbe salire anche del 20-30%, contribuendo con un +2.5-4% al Pil dei paesi in via di sviluppo e riducendo del 12-17% il numero delle persone sotto la soglia della povertà.

martedì 28 giugno 2011

www.news.va, un nuovo portale per le notizie del Vaticano

Una nuova piattaforma tecnologica per il Vaticano: www.news.va. Una sorta di 'raccoglitore' di notizie, appuntamenti, affermazioni provenienti da tutto il mondo ecclesiale del cuore della cristianità. Come ha detto ieri mons.Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, "le notizie riguarderanno le attività o gli interventi magisteriali del Santo Padre, le prese di posizione dei Dicasteri della Santa Sede, così come i più importanti avvenimenti del mondo o situazioni legate alle varie chiese particolari".
Ancora un passo in avanti del Vaticano per essere 'al passo con i tempi della tecnologia' per unificare tutte le notizie del Vaticano e per prenderle facilmente fruibili a tutti gli interessati.
La data scelta non è casuale. Domani, 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, e 60° anniversario dell'ordinazione sacerdotale di papa Benedetto XVI, il sito sarà online. Sempre mons. Celli così ha commentato: "è nostro desiderio, infatti, che questa importante iniziativa della Santa Sede in campo comunicativo, sia un omaggio e molto di più, l’espressione della nostra fedeltà e dedizione al Santo Padre, in occasione del 60° anniversario della Sua ordinazione sacerdotale".
Quale il rapporto con gli altri media vaticani?
"Da quanto detto - spiega il porporato vaticano - il portale non ha una sua specifica linea editoriale: si rifà semplicemente a quanto già scrive o comunica il quotidiano L’Osservatore Romano e la Radio Vaticana o le altre fonti vaticane di informazione. Tutti i media conserveranno la loro autonomia ed identità che risulteranno evidenti dalla presentazione delle principali notizie da loro fornite sul portale".
Un'ulteriore strumento per comunicare e coordinare le tante 'voci' del Vaticano, verso una convergenza non solo strumentale ma anche di contenuto.

sabato 11 giugno 2011

Papa Benedetto XVI 'verde', libero profeta, spiazza i vescovi italiani

La versione ecologista di papa Benedetto XVI con il suo appello fatto durante il saluto a sei nuovi ambasciatori accreditati presso la Santa sede, diventa un 'pesante' monito a pochi giorni dal referendum.
Ma non è la prima volta che il papa parla a favore di una strategia energetica pulita e rispettosa della natura e dell'uomo, insomma etica a tutti gli effetti. Non a caso il Vaticano si è mosso in modo accorto e deciso per utilizzare la tecnologia pulita, come l'impianto a pannelli solari posto sopra il tetto dell'aula Paolo VI.
Energie "pulite" e "senza pericolo" per l'uomo è un appello che non può passare inosservato a ridosso dei prossimi referendum.
"Il primo semestre di quest'anno - avverte il papa - è stato segnato da innumerevoli tragedie che hanno colpito la natura, la tecnica e i popoli", e non si può non pensare alla catastrofe nucleare di Fukushima. "La vastità dei tali catastrofi ci interpella. E' l'uomo che viene per primo, è bene ricordarlo".
giò nella Caritas in veritate Bendetto XVi aveeva parlato molto a lungo di una "ecologia umana" per la quale la Chiesa "deve difendere non solo la terra, l'acqua e l'aria come doni della creazione appartenenti a tutti" ma "deve proteggere soprattutto l'uomo contro la distruzione di se stesso".
Una impostazione antropologica chiara e forte verso i beni comuni, che vanno rispettati e difesi.
Su questa linea il papa si è dimostrato estremamente libero e 'profetico' a dispetto di possibili strumentalizzaziooni proprio a ridosso dei referendum. Cosa che i vescovi italiani, si direbbe ancora una volta, non hanno saputo o voluto fare. Forse perchè troppo 'legati' al contesto nazionale?troppo timorosi di prendere le parti di quanlche ala politica?o di 'dispiacere' un'altra parte politica che si è sempre detta, a parole, vicina al mondo cattolico?

giovedì 9 giugno 2011

I soldi segreti nella coppia

Ogni coppia ha dei segreti da custodire. Anche riguardo i soldi?le spese o gli acquisti fatti?
Si sa che gli americani amano molto i sondaggi e i dati che orientano le valutazioni e le indicazioni, nonchè i dibattiti. L’ultimo interessante e divertente sondaggio apparso sui Usatoday, il più venduto quotidiano degli States, riguarda i soldi/spese segrete tra la coppia di sposi.
Secondo questo sondaggio realizzato da Carey e Gelles, dice che tra le coppie americane ben il 57% compra qualcosa che il partner non approva, per cui non è d’accordo. Poi c’è un buon 42% che addirittura nasconde gli acquisti al partner, probabilmente per paura di litigi, di discussioni. Un 39% ‘camuffa’ le proprie spese, cercando di mascherare la verità, di dirne mezza, di descrivere approssimativamente l’oggetto del desiderio ormai realizzato e posseduto. C’è un 27% che nasconde perfino un conto o una carta di credito posseduta in proprio e con questi fa in tranquillità di coscienza il proprio shopping. Infine il 26% non racconta dei debiti accumulati per la propria sete di acquisiti.
Il sondaggio, essendo una semplice fotografia in prima pagina, come è tipico di Usatoday, non dice ulteriori informazioni interessanti ed importanti, ad esempio chi dei due, tra uomo o donna, nasconde o spende di più. Neppure sappiamo quali sono i settori di spesa maggiormente coinvolti nel “compulsion shopping”. Ma certamente il nascondere le spese al proprio partner non è così inusuale.
Fa parte della routine della coppia?o è qualcosa che va evitato in assoluto?fa bene lasciare un “margine” di segreto sulle spese tra la coppia, poiché ognuno ha i suoi gusti e bisogno di “soddisfare” in modo autonomo i desideri e capricci personali?

Cristiani in Medio Oriente: meglio democrazia o vecchi regimi?

Cristiani in Medio Oriente: meglio la democrazia o il regime poliziesco dei vecchi regimi? Sembra essere questo il drammatico dilemma delle comunità cristiane che vivono nei paesi arabi in questa tempo di anelito di libertà.
Già in Iraq, dopo la caduta di Saddam Hussein, e poi Pakistan, e ora in Egitto, il cambiamento di regime sembra aver segnato un tragico aumento delle violenze verso le minoranze cristiane e una difficilissima convivenza con il resto della popolazione araba non cristiana.
Non ci sono giorni in cui non arrivino notizie di aggressioni verbali e fisiche verso membri di chiese cristiane, scontri continui che hanno portato danni materiali e feriti. Per non parlare delle incomprensibili ed ingiustificabili morti. I dittatori sanguinari  avevano garantito un assoluto controllo della società e quindi una convivenza anche tra religioni diverse, tra tribù ed etnie differenti. Sembra che lo sgretolarsi di queste strutture opprimenti ed inumane abbia dato sfogo a tensioni e conflitti rimasti latenti per decenni.
Le rivalità tra religioni ora  si colorano di matrice politica. Gli attacchi alle chiese, la conversione forzata, le accuse di blasfemia diventano arma per conquistare quello spazio, quel potere da parte di estremismi islamici. Infatti sono proprio gruppi legati all’Islam più radicale a perpetrare questi attacchi e usare la religione come strumento di lotta e di sopraffazione.
Alimentare la tensione sociale, evidentemente, sta diventando un modo comune per continuare la lotta ed evitare che una vera forma di democrazia, partecipazione e tolleranza possa prendere piede nel terreno ‘vergine’ del mondo arabo, che finora non ha mai conosciuto questa forma politica di civiltà.
Ormai i cristiani irakeni sono praticamente scomparsi, fuggiti dalle loro terre. In terra santa la situazione non è così tranquilla e pacifica. In Libano, in Egitto, in Pakistan i cristiani non seriamente minacciati.Il percorso verso la democrazia in questi paesi non è facile.
Non basta togliere i vecchi dittatori per avere immediatamente la pace sociale.
Occorre una cultura, una mentalità, una maturità civile che la nostra Europa ha raggiunto nel corso di secoli e anche sanguinose battaglie.

venerdì 13 maggio 2011

Occidente sprecone: troppo cibo buttato,ma non da meno i paesi emergenti

Oltre un miliardo di tonnellate di cibo ogni anno vanno perdute, secondo l’ultimo rapporto della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e il cibo.
Lo studio della Food Losses and Food Waste (Perdita e spreco di cibo a livello mondiale ndt.), è stato commissionato dalla FAO all'Istituto svedese per il cibo e la biotecnologia (SIK) in occasione di Save the food!, ha rilevato che:
·         I paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo dissipano all'incirca la stessa quantità di cibo - rispettivamente 670 e 630 milioni di tonnellate.
·         Ogni anno i consumatori dei paesi ricchi sprecano quasi la stessa quantità di cibo (222 milioni di tonnellate) dell'intera produzione alimentare netta dell'Africa sub-sahariana (230 milioni di tonnellate).
·         Frutta e verdura, insieme a radici e tuberi, sono gli alimenti che vengono sprecati maggiormente.
·         L'ammontare di cibo che va perduto o sprecato ogni anno è equivalente a più di metà dell'intera produzione annuale mondiale di cereali (2,3 miliardi di tonnellate nel 2009/2010).
Sprechi ed inefficienza
Guardando più attentamente, il rapporto distingue tra “perdite alimentari e spreco di cibo.  Le perdite alimentari - che avvengono in fase di produzione, di raccolto e dopo raccolto, e di lavorazione - sono più rilevanti nei paesi in via di sviluppo a causa delle infrastrutture carenti, della scarsa tecnologia e della mancanza di investimenti nei sistemi agro-alimentari”. Lo spreco di cibo è invece più un problema dei paesi industrializzati, dove assai spesso a livello di venditori e consumatori si gettano nella spazzatura cibo in perfette condizioni che si potrebbe benissimo mangiare.  Si pensi che in Europa ed in Nord America lo spreco pro capite da parte del consumatore è calcolato intorno ai 95-115 kg all'anno, mentre in Africa sub-sahariana e nel sudest asiatico ammonta a soli 6-11 kg l'anno. Nei paesi avanzati si calcolano circa 900 kg l’anno di produzione alimentare, a differenza dei 460 kg dei paesi più poveri. Una differenza abissale che si manifesta anche nella catena alimentare dello spreco: nei paesi poveri il 40% delle perdite avviene , comprensibilmente, dopo il raccolto e nella lavorazione, per via di una scarsa ed inefficiente organizzazione e apparato di infrastrutture. I ricchi invece si permettono di gettare il 40% del cibo dopo la produzione, evidentemente perché troppo o non secondo i propri gusti.
Le perdite si ripercuotono soprattutto sui contadini che in tal modo si vedono bassi redditi e per i consumatori un rialzo insopportabile dei prezzi.
Non solo spreco di cibo. Anche enorme sperpero di risorse come acqua, terra, energia, manodopera e capitale oltre a produrre inutile emissioni di gas serra e contribuire a riscaldamento globale e cambiamento climatico.
Il rapporto offre una serie di suggerimenti pratici su come ridurli: “nei paesi in via di sviluppo il problema è principalmente dovuto a tecniche inadeguate di produzione, ad una gestione carente del dopo raccolto, alla mancanza di infrastrutture adeguate di trasformazione alimentare e d'imballaggio, ed alla mancanza di informazioni sulla commercializzazione che consentirebbe alla produzione di meglio adeguarsi alla domanda”. Il consiglio in questi casi è dunque quello di “rafforzare la filiera agro-alimentare assistendo i piccoli contadini a collegarsi direttamente con gli acquirenti.  Il settore pubblico e privato dovrebbero inoltre investire di più nelle infrastrutture, nel trasporto, nella trasformazione e nell'imballaggio”. Nei paesi a medio e alto reddito invece le “perdite alimentari derivano principalmente dal comportamento del consumatore ed anche dalla mancanza di comunicazione tra i diversi settori della catena alimentare”.
Un ulteriore importante riflessione riguarda l’eccessiva enfasi sull'apparenza. Infatti  “grandi quantità di cibo vengono sprecate anche a causa di standard di qualità che danno eccessiva importanza all'apparenza”.  Si potrebbero comprare cibi sani e gustosi anche senza questa ‘veste’ di fashion applicata anche ai cibi. Di conseguenza i consumatori hanno il potere di influenzare gli standard di qualità e dovrebbero esercitarlo, secondo il rapporto.
Altro suggerimento è quello di vendere i prodotti della terra direttamente senza dover conformarsi alle norme qualitative dei supermercati.
Per quanto spetti a noi occidentali ricchi dobbiamo cambiare l’abitudine del consumatore, in quanto la pubblicità e il consumismo incoraggiano a comprare più cibo di quello di cui abbiamo in realtà bisogno.  Ne è un esempio il classico "Compra tre e paghi due" proposto in molte promozioni, come pure le porzioni eccessive dei pasti pronti prodotti dall'industria alimentare.  Ci sono poi i buffet a prezzo fisso offerti da molti ristoranti che spingono il consumatore a riempire il proprio piatto oltre misura.
Altrettanto significativa è l’osservazione fatta dal rapporto per cui “in generale il consumatore non programmi l'acquisto di generi alimentari in modo corretto, che significa che spesso viene buttato cibo inutilizzato quando la data "da consumarsi entro" scade”. L’informazioni nelle scuole ed iniziative politiche potrebbero essere un punto di partenza per cambiare questo comportamento.  Si dovrebbe insegnare ai consumatori dei paesi ricchi che gettare via cibo senza motivo è inaccettabile.

giovedì 5 maggio 2011

America: una nazione biblica

Gli Stati Uniti d’America sono definiti dalla Dichiarazione d’indipendenza e dalla Costituzione. Ma il testo che maggiormente è stato citato e usato , nei modi più disparati, è la bibbia della versione del re Giacomo, pubblicata proprio 400 anni fa, il 2 maggio 1611.
Un testo che il re d’Inghilterra fece redigere per redimere la controversia tra anglicani e puritani. Questo testo ha influenzato più di ogni altro, la vita civile americana. Usata sia per giustificare la guerra, che la pace, la libertà dei diritti civili e la schiavitù.  Numerosi presidenti degli Usa hanno citato i testi della bibbai di re Giacomo, come J.F. Kennedy e Reagan, che parlarono dell’America come una “città posta sulla collina” citando Matteo 5,14; così come M,L.King nel suo famoso “I have a dream”, cita Isaia 40, 4-5. Durante l Guerra Civile, c’è chi l’ha usata per abolire la schiavitù, come l’abolizionista W.L. Garrison che cita Matteo 12,25; mentre dall’altra parte J. Davis usa la bibbia per difendere la schiavitù. Da ultimo anche l’attuale presidente B. Obama  ha citato genesi 4,9 per invitare ad essere “custodi dei propri fratelli”. L’America non è una nazione cristiana ma una nazione biblica, fondata sul testo di re Giacomo. Significa che gli americani si sentono liberi di usare la bibbia come fonte di ispirazione e persuasione delle proprie idee e azioni. È un testo che offre un linguaggio comune per la discussione di argomenti spirituali e morali. Ma proprio per questo uso del testo sacro, non ci può essere un suo uso per la legislazione, la libertà di religione significa libertà per ciascuno.

sabato 30 aprile 2011

Papa Wojtyla beato, una festa per la Chiesa e il mondo

La beatificazione di papa Giovanni Paolo II mi ha dato l'occasioenn di scrivere diversi articoli su quyeta gradne figura, che ho potuto 'veder' personalmente, sia nella sua visita a Venezia, sia alla gioranta mondiale della gioventù di Pairigi, nel 1997, sia in quella di Roma a Tor Vergata, nel Giubileo del 2000.
Vorrei allora segnalare qui, anche con dei link ai testi definitivi, queste mie riflessioni, fatte per diverse testate, su qusto grande ponteficie che ha segnato la storia della Chiesa e di tante persone.
per la Fondazione Magna Carta e L'Occidentale: http://www.magna-carta.it/content/papa-beato
Beato il 1 maggio. A tempo di record, oltre ogni previsione e tempistica pontificia. Ma per papa Giovanni Paolo II, fin dal giorno della sua “dipartita alla casa del Padre”, il sensus fidei del popolo di Dio lo aveva già acclamato santo. Già in vita si percepiva la grandezza dell’uomo, ma quello che il pudore frenava prima, ora, dopo la sua morte, è diventato come un fiume in piena. Il numero di persone che raccontano la sua ricca e profonda personalità sembra non arrestarsi mai. L’ufficio di Roma per la postulazione è inondato di lettere ed email, i messaggi che oggi, nell’era del web e dei social media, arrivano alla pagine di face book, i video su youtube,  i libri e le conferenze che si organizzano per raccontare le diverse sfaccettature di questo carismatico personaggio, non si contano più. Ci sono voluti i tempi tecnici minimi per poterlo elevare agli altari della beatificazione, e comunque facendo una deroga ai cinque anni minimi richiesti dal diritto canonico. Si potrebbe azzardare l’ipotesi che i tanti santi e beati, questa schiera di “protettori celesti”, da lui elevati all’onore degli altari in un numero record, oltre 1000, abbia dato un’ulteriore spinta all’iter di beatificazione. Lui stesso, di fronte alla perplessità di proclamare con troppa facilità e velocità le virtù eriche di tanti cristiani, rispondeva dicendo che proprio la santità cristiana, la coerenza della vita, la trasparenza della virtù devono essere il fine, l’obiettivo di tutti i fedeli di Cristo. Essere santi deve essere una strada percepita come realizzabile da tutti, non esclusiva di personalità particolarmente dotate e capaci. Ha voluto affermare la santità della vita di persone comuni, di padri, madri, giovani, non solo preti e suore. Voleva che il vangelo permeasse tutto e tutti. In particolare i giovani, con la loro energia, vivacità ed entusiasmo divennero particolari destinatari della sua preghiera ed attenzione. È lui, infatti, che ‘inventò’ quegli appuntamenti di grande appeal, mediatico e spirituale, che sono le Giornata Mondiali della Gioventù. Il papa venuto da lontano, che ha cambiato la storia, il nemico del comunismo, il papa sportivo, il papa pellegrino nel mondo, il Grande pontefice.  Sono solo alcuni dei titoli con cui si è cercato di rappresentare e racchiudere in sintetiche affermazioni la grandezza umana, spirituale e storica di Karol Wojtyla, sacerdote, cardinale e Pontefice della Chiesa Cattolica dal 16 Ottobre 1978 al 2 Aprile 2005. Gli oltre 26 anni di ministero e una forza fisica e morale incontenibili, gli hanno permesso di infrangere ogni tipo di record ed imprimere alla storia della Chiesa e a quella ‘laica’ un’impronta decisiva ed indelebile. Fin dalle sue prime parole pronunciate nell’omelia di inaugurazione del suo servizio petrino, il 22 Ottobre, non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo lui lo sa!”,  manifestò chiaramente a tutto il mondo l’ampiezza di visione del suo progetto pastorale e la forza morale che aveva dentro di sé e che lo avrebbe portato davvero tanto lontano. L’uomo è sempre stato al centro della sua attenzione, sia per quello che lui stesso aveva vissuto durante gli anni della dittatura comunista in Polonia, della guerra, e della perdita dei genitori e familiari, sia per quella profonda esperienza di fede avuta con l’incontro di Cristo, unico salvatore dell’uomo e della storia. Nella sua prima enciclica, che è la chiave di lettura di tutto il suo impianto teologico, pastorale e antropologico, il tema e il titolo stesso, “Redemptor hominum”, esprimono il suo desiderio di guardare alla storia dal suo baricentro che è Gesù Cristo, indissolubilmente legato alla missione di salvare l’uomo, di dargli quel senso, quella dignità, quella forza che solo nella fede può essere trovata. Papa Wojtyla ha incontrato milioni di fedeli, centinaia di capi di Stato, ha viaggiato per migliaia di chilometri per visitare e rafforzare le comunità cristiane sparse nel mondo, ha scritto decine di documenti, ha cercato di costruire ponti di dialogo con le altre confessioni cristiane, con gli ebrei (memorabile la sua storica visita alla sinagoga di Roma), con le altre religioni (altrettanto storico l’incontro di preghiera ad Assisi con tutti capi religiosi del mondo), ma sempre e soltanto per far conoscere la bellezza e la forza di Cristo. Era profondamente consapevole della immensa responsabilità del suo ‘ruolo’, e per questo ha saputo e voluto realizzare tutto ciò che poteva affinché l’uomo, ogni uomo, potesse vedere rispettata la sua dignità e la sua apertura al divino, affinché il Vangelo, annuncio di vita, “Evangelium vitae” (come è intitolata un’altra enciclica), potesse risplendere in ogni ambito della vita umana. Non a caso egli fu definito uno dei protagonisti della caduta del muro di Berlino, del crollo del sistema dittatoriale comunista. Lui che ne aveva sperimentata la diabolica chiusura a Dio, la subdola schiavitù psicologica e la sterile base antropologica. Egli volle far entrare la prospettiva cristiana in ogni ambito senza offrire soluzioni facili e scorciatoie, ma consapevole della solidità e validità della proposta cristiana in ambito sociale, del lavoro, dell’economia e della politica.  Ben tre encicliche dedicò ai temi sociali del lavoro e dell’economia, con   “Laborem exercens”, “Sollecitudo rei socialis”, “Centesimus annus”. Un altro trittico di vasto respiro e profondità teologica lo ha lasciato per fondare la missione della Chiesa e la speranza certa nel perdono e nel riscatto della miseria umana, nelle encicliche “Dives in misericordia”, “Dominus et vivificantem”, “Redemptoris missio”. Non ha mai dedicato alla comunicazione un documento ufficiale  di alto magistero, ma la sua gestualità, il tono della voce, lo sguardo attento e profondo, l’esperienza di attore e soprattutto l’amore alla Verità del vangelo, lo hanno reso uno dei più grandi comunicatori della storia. Joaquim Navarro Valls, suo portavoce fino alla morte, lo ricorda così: “si trovava a suo agio nell’atto di comunicare”. La forza della sua comunicatività risiedeva in una duplice inossidabile fiducia: nella certa capacità dell’uomo di cogliere il Vero e nella Verità delle parole del Vangelo, che lui sempre ed unicamente voleva annunciare.
per FareItaliamag: http://www.fareitalia.com/118_l_outsider__che_ha_cambiato__il_mondo

Lo si era capito fin dal giorno della sua elezione: papa Wojtyla non era un uomo qualunque, avrebbe segnato la storia della Chiesa Cattolica e del mondo intero. Un outsider che ruppe i tatticismi della curia romana e aprì, anzi, spalancò le finestre dei sacri palazzi vaticani al vento della modernità, della nuova evangelizzazione, del dialogo con le altre religioni e i non credenti. Un uomo che si manifestò profondamente affabile ed attento alla condizione dell’uomo, dei suoi diritti, ma altrettanto forte e inflessibile sui principi della morale e della Verità. La sua biografia raccoglieva le aspirazioni e le contraddizioni della decennale  divisione geopolitica tra Est ed Ovest, tra comunismo e capitalismo. Il suo magistero pontificio, segnato da un’infinità di documenti ed incontri, divenne un punto di riferimento imprescindibile per comprendere il rapporto tra fede e ragione, tra filosofia e teologia, ma soprattutto il profondo mistero dell’uomo naturalmente “aperto al mistero del Dio”. La novità del doppio nome come pontefice, iniziata dalla genialità semplice di Albino Luciani, fu accolta da Karol Wojtyla e portata avanti con quel carisma, quella personalità e quella forza fisica e morale insuperabili ed incrollabili, che lo fecero ‘regnare’ a capo di quasi un miliardo di cattolici per più di 26 anni. La sua prima enciclica, programmatica di tutto il suo ministero, la “Redemptor Hominis”, spiega chiaramente l’ampio prospettiva della sua visione antropologica e teologica. “La Chiesa - si legge nel documento - come afferma il Concilio, è “sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano”. Proprio per tale ragione, la coscienza della Chiesa deve esser congiunta con un'apertura universale, affinché tutti possano trovare in essa “le imperscrutabili ricchezze di Cristo”[..]. Tale apertura, organicamente unita con la coscienza della propria natura, con la certezza della propria verità […], determina il dinamismo apostolico, cioè missionario, della Chiesa, la quale professa e proclama integralmente tutta quanta la verità trasmessa da Cristo”. Ecco perché egli viaggiò per tutto il globo, andando a confermare nella fede le comunità cristiane sparse in ogni angolo della terra, accettò di incontrare anche i più discutibili capi di Stato,  organizzò e realizzò storici appuntamenti come quello di Assisi, con i rappresentanti di tutte le religioni per invocare la pace, andò alla sinagoga di Roma ed entrò a piedi nudi, la prima volta di un papa, in una moschea a Damasco, visitò il suo ‘assassino’ Alì Agca, ‘inventò’ le giornate mondiali della gioventù. Un uomo giovane e fino alla fine giovanile, sportivo, amante della folle e di una certa spettacolarità che diede un’immagine totalmente nuova del papa e che influenzò sia la geopolitica che la fede di milioni di fedeli. Un uomo personalmente segnato e conoscitore degli errori e delle aberrazioni del comunismo, per questo lo combatté con tutte le sue forze. Ma, come uomo della modernità e dell’occidente, cercò anche di smascherare, con altrettanta forza, i rischi di un capitalismo senza anima, senza etica, senza lo sguardo “del bene comune”. Il 22 ottobre, inizio del suo pontificato, sarà la data liturgica della sua memoria, ma intanto in questi due giorni Roma si sta preparando a questo grandioso evento con uno spiegamento di forze ed eventi per pellegrini e turisti. Manifesti affissi ovunque, spot nella metropolitana, annunci in ogni angolo della capitale stanno anche mercificando questa figura. La beatificazione di papa Wojtyla ha varcato le soglie del semplice fatto religioso e, purtroppo, anche questa è diventata marketing.

sabato 23 aprile 2011

la Pasqua degli americani: ritorno alle relazioni personali

Lo dicono le statistiche ormai da tempo, gli americano degli States sono tra i popoli più religiosi. Certo di una religiosità fatta da una miriade di confessioni e aggregazioni religiose, dalla Chiesa Cattolica alle diverse realtà protestanti, per non parlare dell'ascesa dei musulmani e delle religioni orientali e delle tantissime altre forme religiose New age. E non c'è da stupirsi che nel paese del 'made self man' anche la religiosità sia vissuta, spesso, allo stesso modo, con estrema libertà ..e fantasia. Ecco allora spuntare, in occasione della festa di Pasqua, le cosiddette Chiese semplici o case trasformate in chiese. In un paese dove il finanziamento alle costruzioni sacre non è certo comparabile alla tradizione e legislazione italiana, molti americani si riuniscono in sale improvvisate a casa di Dio. Anche senza un pastore o un 'funzionario della religione', molti si autoorganizzano per celebrare la Pasqua, con canti, letture della Bibbia  e gli immancabili sermoni, cratterizzati da partecipazione e dialogo. Secondo un recente sondaggio, ben l'89% dei cristiani ritiene che è bene impegnarsi in attività di fede e culto nelle proprie case e addirittura  il 75% realizzare dentro la propria abitazione un luogo di culto e preghiera, ovviamente aperto a tutti. C'è anche una studio chiamato The Catholic experience of Small Christians Communities che raccoglie e analizza proprio questo fenomeno in crescita, coniato come Small is Big. Nell'era della globalizzazione sembra ritornare anche nel sacro l'esigenza del piccolo, della familiarità, della tradizione.

lunedì 18 aprile 2011

Violenza x 1.5 milioni di persone nel mondo

1.5 milioni di persone vivono dentro un 'circolo vizioso' di violenza e guerra. E' quanto emerso dal Rapporto 2011 della Banca Mondiale dal titolo "le economie della violenza". Presentano la ricerca l'autorevole settimanle The Economist si chiede se i paesi poveri sono violenti in quanto poveri oppure sono violenti in quanto sono poveri?Non è una oziosa questione capire se è la povertà a causare la violenza, che spesso diventa guerra, oppure il contrario. Il rapporto della BM sembra affermare che è la povertà a causare la violenza della guerra e del crimine. Infatti la maggioranza dei giovani che si arruolano nelle bande criminali o nelle gang militari lo fa perchè è povero, e solo in quesot modo riesce a guadagnare qualcosa. Ma occorre anche prevenire la viiolenza e i conflitti, rafforzando le istituzioni. Infatti istituzioni capaci, responsabili e legittime sono i 'fattori comuni mancanti' che rendono alcuni paesi più vulnerabili di altri alla guerra e alle violenza. Dove c'è buona governance è più baso il tasso di conflitti interni. Il rapporto indica quattro strade che occorre perseguire con coraggio e forza, anche a livello internazionale: primo, investire nella prevenzione attraverso la sicurezza, il lavoro e la giustizia (i MDG non menzionano abbastanza i problmei della sicurezza e della violenza). Secondo, le agenzie devono sostenere e rafforzare la costruzione di confidenza  all'interno dei paesi e un maggior impegno istituzionale. Terzo, agire a livello regionale e locale per evitare tensioni da paesi esterni. Quattro, serve pazienza. Ma come dice provocatoriamente l'autore dell' Economist, "è più facile essere paziente se sei un membro della Banca Mondiale piuttosto che un leader di un paese violento e sotto la minaccia del tuo popolo o dei tuoi rivali".
http://wdr2011.worldbank.org/fulltext

venerdì 15 aprile 2011

Bernes-Lee: accesso al Web è un 'diritto umano'

Durante un simposio nella prestigiosa università americana del MIT, a Boston, il fondatore del world wide web ha affermato che "dopo due decenni di vita di internet l'accesso al web, che ha reso gli uomini così dipendenti da esso, dovrebbe essere considerato come un diritto basilare". Un'affermazion decisamente forte, forse esagerata, ma sicuramente che mette il dito nella piaga di un fenomeno che ha profondamente cambiato la vita privata, sociale degli uomini e anche delle nazioni. Lo stesso UsaToday, ieri, in prima pagina affermava il radicale cambiamento che hanno portato i social media nel'affrontare le clamità, le mergenze naturali ed umanitarie. Bernes-Lee, nel suo discorso, azzarda una provocatoria comparazione tra il diritto all'acqua e quello al web, semplicemente, e forse troppo ingenuamente, perchè se è vero che non si può vivere senza acqua ma si può vivere senza web, è altrettanto vero che "a parità di accesso all'acqua chi può accedere alla rete ha un grandissimo vantaggio", incomparabilmente più favorito per il suo futuro.
Infine ha affermato che la sua fiducia sul web, tanto da 'condannare' tutto e tutti quelli che censurano, bloccano, chiudono la rete. Seconodo il guru di internet è "meglio sviluppare le applicazioni che aprono alla rete piuttosto che a quelle che chiudono o controllano i dati della rete". Le rete, insomma, va lasciata libera perchè è nata proprio per far condividere e non per restringere o selezionare le informazioni e i dati.

mercoledì 13 aprile 2011

tradizione o gusto del 'vintage' anche nella chiesa?

Burke in Sydney
Ho trovato questa foto ed un curioso commento su l'autorevole blog cattolico americano del National Catholic Reporter, http://ncronline.org/blogs/ncr-today/prelate-disobeying-pope. Vestiti e addobbi del passato fanno fatica a passare di 'moda' anche nella Chiesa o esiste anche qui il gusto del cosiddeto 'vintage'?

lunedì 11 aprile 2011

chi imbroglia sulle tasse in America?

Interessante sondaggio di Usatoday sull'identikit dell'imbroglione di tasse americano. Si dice, nel numero di oggi, nel piacevole riquadro degli Snapshots quotidiani, che tra le persone che cercano di imbrogliare sulla dichiarazione delle tasse da pagare, il 64% sono uomini, 56% sotto i 45 anni di età, 51% ha redditi maggiori dei 50.000 dollari, 50% sono sposati e 43% hanno almeno una baccalaurea (simile alla nostra laurea breve). chissà come può essere definito il corrispettivo italiano?