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venerdì 13 maggio 2011

Occidente sprecone: troppo cibo buttato,ma non da meno i paesi emergenti

Oltre un miliardo di tonnellate di cibo ogni anno vanno perdute, secondo l’ultimo rapporto della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e il cibo.
Lo studio della Food Losses and Food Waste (Perdita e spreco di cibo a livello mondiale ndt.), è stato commissionato dalla FAO all'Istituto svedese per il cibo e la biotecnologia (SIK) in occasione di Save the food!, ha rilevato che:
·         I paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo dissipano all'incirca la stessa quantità di cibo - rispettivamente 670 e 630 milioni di tonnellate.
·         Ogni anno i consumatori dei paesi ricchi sprecano quasi la stessa quantità di cibo (222 milioni di tonnellate) dell'intera produzione alimentare netta dell'Africa sub-sahariana (230 milioni di tonnellate).
·         Frutta e verdura, insieme a radici e tuberi, sono gli alimenti che vengono sprecati maggiormente.
·         L'ammontare di cibo che va perduto o sprecato ogni anno è equivalente a più di metà dell'intera produzione annuale mondiale di cereali (2,3 miliardi di tonnellate nel 2009/2010).
Sprechi ed inefficienza
Guardando più attentamente, il rapporto distingue tra “perdite alimentari e spreco di cibo.  Le perdite alimentari - che avvengono in fase di produzione, di raccolto e dopo raccolto, e di lavorazione - sono più rilevanti nei paesi in via di sviluppo a causa delle infrastrutture carenti, della scarsa tecnologia e della mancanza di investimenti nei sistemi agro-alimentari”. Lo spreco di cibo è invece più un problema dei paesi industrializzati, dove assai spesso a livello di venditori e consumatori si gettano nella spazzatura cibo in perfette condizioni che si potrebbe benissimo mangiare.  Si pensi che in Europa ed in Nord America lo spreco pro capite da parte del consumatore è calcolato intorno ai 95-115 kg all'anno, mentre in Africa sub-sahariana e nel sudest asiatico ammonta a soli 6-11 kg l'anno. Nei paesi avanzati si calcolano circa 900 kg l’anno di produzione alimentare, a differenza dei 460 kg dei paesi più poveri. Una differenza abissale che si manifesta anche nella catena alimentare dello spreco: nei paesi poveri il 40% delle perdite avviene , comprensibilmente, dopo il raccolto e nella lavorazione, per via di una scarsa ed inefficiente organizzazione e apparato di infrastrutture. I ricchi invece si permettono di gettare il 40% del cibo dopo la produzione, evidentemente perché troppo o non secondo i propri gusti.
Le perdite si ripercuotono soprattutto sui contadini che in tal modo si vedono bassi redditi e per i consumatori un rialzo insopportabile dei prezzi.
Non solo spreco di cibo. Anche enorme sperpero di risorse come acqua, terra, energia, manodopera e capitale oltre a produrre inutile emissioni di gas serra e contribuire a riscaldamento globale e cambiamento climatico.
Il rapporto offre una serie di suggerimenti pratici su come ridurli: “nei paesi in via di sviluppo il problema è principalmente dovuto a tecniche inadeguate di produzione, ad una gestione carente del dopo raccolto, alla mancanza di infrastrutture adeguate di trasformazione alimentare e d'imballaggio, ed alla mancanza di informazioni sulla commercializzazione che consentirebbe alla produzione di meglio adeguarsi alla domanda”. Il consiglio in questi casi è dunque quello di “rafforzare la filiera agro-alimentare assistendo i piccoli contadini a collegarsi direttamente con gli acquirenti.  Il settore pubblico e privato dovrebbero inoltre investire di più nelle infrastrutture, nel trasporto, nella trasformazione e nell'imballaggio”. Nei paesi a medio e alto reddito invece le “perdite alimentari derivano principalmente dal comportamento del consumatore ed anche dalla mancanza di comunicazione tra i diversi settori della catena alimentare”.
Un ulteriore importante riflessione riguarda l’eccessiva enfasi sull'apparenza. Infatti  “grandi quantità di cibo vengono sprecate anche a causa di standard di qualità che danno eccessiva importanza all'apparenza”.  Si potrebbero comprare cibi sani e gustosi anche senza questa ‘veste’ di fashion applicata anche ai cibi. Di conseguenza i consumatori hanno il potere di influenzare gli standard di qualità e dovrebbero esercitarlo, secondo il rapporto.
Altro suggerimento è quello di vendere i prodotti della terra direttamente senza dover conformarsi alle norme qualitative dei supermercati.
Per quanto spetti a noi occidentali ricchi dobbiamo cambiare l’abitudine del consumatore, in quanto la pubblicità e il consumismo incoraggiano a comprare più cibo di quello di cui abbiamo in realtà bisogno.  Ne è un esempio il classico "Compra tre e paghi due" proposto in molte promozioni, come pure le porzioni eccessive dei pasti pronti prodotti dall'industria alimentare.  Ci sono poi i buffet a prezzo fisso offerti da molti ristoranti che spingono il consumatore a riempire il proprio piatto oltre misura.
Altrettanto significativa è l’osservazione fatta dal rapporto per cui “in generale il consumatore non programmi l'acquisto di generi alimentari in modo corretto, che significa che spesso viene buttato cibo inutilizzato quando la data "da consumarsi entro" scade”. L’informazioni nelle scuole ed iniziative politiche potrebbero essere un punto di partenza per cambiare questo comportamento.  Si dovrebbe insegnare ai consumatori dei paesi ricchi che gettare via cibo senza motivo è inaccettabile.

giovedì 5 maggio 2011

America: una nazione biblica

Gli Stati Uniti d’America sono definiti dalla Dichiarazione d’indipendenza e dalla Costituzione. Ma il testo che maggiormente è stato citato e usato , nei modi più disparati, è la bibbia della versione del re Giacomo, pubblicata proprio 400 anni fa, il 2 maggio 1611.
Un testo che il re d’Inghilterra fece redigere per redimere la controversia tra anglicani e puritani. Questo testo ha influenzato più di ogni altro, la vita civile americana. Usata sia per giustificare la guerra, che la pace, la libertà dei diritti civili e la schiavitù.  Numerosi presidenti degli Usa hanno citato i testi della bibbai di re Giacomo, come J.F. Kennedy e Reagan, che parlarono dell’America come una “città posta sulla collina” citando Matteo 5,14; così come M,L.King nel suo famoso “I have a dream”, cita Isaia 40, 4-5. Durante l Guerra Civile, c’è chi l’ha usata per abolire la schiavitù, come l’abolizionista W.L. Garrison che cita Matteo 12,25; mentre dall’altra parte J. Davis usa la bibbia per difendere la schiavitù. Da ultimo anche l’attuale presidente B. Obama  ha citato genesi 4,9 per invitare ad essere “custodi dei propri fratelli”. L’America non è una nazione cristiana ma una nazione biblica, fondata sul testo di re Giacomo. Significa che gli americani si sentono liberi di usare la bibbia come fonte di ispirazione e persuasione delle proprie idee e azioni. È un testo che offre un linguaggio comune per la discussione di argomenti spirituali e morali. Ma proprio per questo uso del testo sacro, non ci può essere un suo uso per la legislazione, la libertà di religione significa libertà per ciascuno.