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giovedì 20 ottobre 2011

Aiuti alla Somalia: paesi islamici in prima linea

Gli aiuti ai paesi poveri, come recentemente è accaduto per la drammatica situazione in Somalia, trova i paesi arabi e musulmani in prima linea nell'inviare aiuti economici e di risorse umane rispetto ai tradizionali paesi occidentali. Secondo un recente reportage dell'agenzia irin delle Nazioni Unite, la Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) ha donato 350 milioni di dollari per aiutare la gravissima situazione della popolazione somala. In sole tre ore di Telethon la TV del piccolo Qatar ha raccolto 6.8 milioni di dollari. La Turchia ha riferito di aver raccolto 250 milioni di dollari e anche Kuwaut ha fatto la sua parte con 3.-5 milioni. Insomma, i paesi arabi, specialmente a maggioranza musulmana, si stanno impegnando molto per essere a fianco dei bisognosi, evidentemente non solo per ragioni etiche ma anche per oportunità politiche e strategiche.
Purtroppo anche in questo campo, le differenze culturali tra occidentali e arabi si fanno sentire. Gli uni e gli altri, cioè i rappresentanti dei paesi musulmani e dall'altra quelli occidentali, si accusano a vicenda di 'usare' i poveri per portare avanti le proprie mire geopolitiche. I musulmani accusano gli occidentali di perpetrare un neo-colonialismo, sotto vesti diverse dal passato. Gli occidentali, in particolare quelli legati alle Nazioni Unite, criticano le organizzazioni musulmane di usare le avanzate tecniche e modalità operative dell'occidente per poi inserirsi e raccogliere tutto "il merito".
Non ultimo, il danno di una mancanza di coordinamento tra tutti gli operatori e agenzie presenti sul territorio al fine di rendere più efficiente l'aiuto umanitario alle popolazioni, raggiungendo il vero fine di far uscire dall'emergenza e iniziare una road map verso una situazione di pace e sostenibilità economica.
Fonte: http://www.irinnews.org/report.aspx?reportid=94010

lunedì 17 ottobre 2011

Giornata mondiale contro la fame: Governi manchevoli

"Anche se gli obiettivi di sviluppo del millennio venissero raggiunti per il 2015, nei paesi in via di sviluppo rimarrebbero comunque circa 600 milioni di persone sottonutrite.  E che 600 milioni di persone soffrano di fame cronica non è mai accettabile". E' quanto emerge dal nuovo rapporto 2011 sulla situazione della fame nel mondo, pubblicato dalla FAO,dal titolo  The State of Food Insecurity in the World  . In occasione della Giornata Mondiale contro la fame l'agenzia delle Nazioni Unite sottolinea che "l'intera comunità internazionale deve agire oggi ed agire in modo efficace per mettere al bando l'insicurezza alimentare dal pianeta".
Come si legge nel loro comunicato stampa "i Governi devono garantire un contesto normativo trasparente e sicuro, un contesto che promuova gli investimenti privati e faccia incrementare la produttività agricola.  Dobbiamo ridurre lo spreco di cibo nei paesi sviluppati con l'informazione e con politiche adeguate, e ridurre le perdite nei paesi in via di sviluppo con investimenti lungo tutta la catena alimentare, specialmente nella fase del dopo raccolto e della trasformazione alimentare.  Una gestione più sostenibile delle nostre risorse naturali, delle foreste e del patrimonio ittico è cruciale per la sicurezza alimentare dei più poveri".
Il tema di quest'anno è stato la volatilità dei prezzi alimentari, la quale "rende i piccoli contadini e i consumatori poveri sempre più vulnerabili ed esposti alla povertà, perchè alterazioni dei prezzi di breve periodo possono avere un impatto di lungo termine sullo sviluppo.  Un calo del reddito dovuto alle fluttuazioni dei prezzi, che causa un minor consumo di alimenti, può far ridurre l'assunzione di elementi nutritivi, chiave per i bambini durante i primi 1000 giorni dal concepimento, portando ad una riduzione permanente della loro futura capacità di guadagnarsi da vivere ed una maggiore probabilità di povertà nel futuro, con effetti negativi sull'intera economia".

Ma l'altalena dei prezzi, continua il rapporto, "ha colpito i paesi, le popolazioni e le famiglie in modo assai diverso.  I più esposti sono stati i poveri e gli indigenti, particolarmente in Africa, dove il numero delle persone sottonutrite è salito dell'8 per cento tra il 2007 ed il 2008, mentre in Asia è rimasto pressoché costante".

Contemporaneamente, occorrono reti di protezione sociale mirate ad alleviare l'insicurezza alimentare nel breve periodo, che devono essere programmate in anticipo, d'intesa con le popolazioni più vulnerabili.

Il rapporto sottolinea che gli investimenti in agricoltura rimangono l'elemento essenziale per una sicurezza alimentare duratura.  I settori chiave verso cui dirigere questi investimenti sono l'irrigazione, migliori pratiche di gestione della terra e lo sviluppo di sementi di migliore qualità mediante la ricerca agricola.

Insieme ad un incremento degli investimenti, una maggiore prevedibilità delle politiche ed una generale apertura al commercio sono strategie più efficaci rispetto ad altre come il divieto alle esportazioni, rileva il rapporto.  Politiche commerciali restrittive possono proteggere i prezzi nazionali dalle fluttuazioni dei prezzi internazionali, ma tali restrizioni spesso aumentano la vulnerabilità della produzione nazionale a possibili shock, non riuscendo così a ridurre la volatilità dei prezzi a livello nazionale.  Misure commerciali restrittive inoltre rischiano di far aumentare la volatilità ed i prezzi sui mercati internazionali.

La migliore stima della FAO sul numero delle persone che soffrono la fame rimane per il 2010 quella di 925 milioni di persone, mentre per il periodo 2006-2008 era di 850 milioni

giovedì 13 ottobre 2011

Il Ghana combatte la credenza nelle streghe

Il governo del Ghana sta operando per salvare e aiutare le donne e i bambini accusati di stregoneria dalla popolazione . Ancora oggi la piaga della stregoneria è presente nelle terre più povere e analfabete dello stato africano. Circa 1000 donne e 700 bambini sono raccolti in sei campi di rifugio nel nord del paese. Seconod il raporto di Unicef almeno i 8 paesi africani dell'area sub sahariana presentano centinaia di casi di accuse si stregonerai verso i bambini., Secondo l'Unicef sono tre le categorie 'colpite' da tali tremende accuse: gli orfani che vivono in povertà nelle città e hanno qualche 'diversità' fisica, come testa grande, pancia pronunciata, occhi rossi; quelli nati prematuramente o nati con modalità anormale; infine i bimbi albini, i cui sangue e organi sono ritenuti avere poteri magici.
Secondo Hajia Hawawu Boya Gariba, ministro del Ghana a difesa delle donne e i bambini, ci sono anche alcuni uomini nei campi di protezione, perchè accusati di essere degli 'stregoni'.
Una piaga che fatica ad essere debellata ma che trova sempre più spesso l'impegno dei governi a combatterla e promuovere misure di protezione e prevenzione.

Fonte: Ghana’s government is looking at ways to support people accused of witchcraft - mainly women and children banished by their communities to “witches’ camps” in the north - and to reintegrate them in their home villages  http://www.irinnews.org/report.aspx?reportID=93961

mercoledì 12 ottobre 2011

Il "vescovo rosso" dell'Honduras si candida alla presidenza

Il "vescovo rosso" dell'Honduras afferma che correrà per la Presidenza della nazione centroamericana se ottiene il permesso da Papa Benedetto XVI.
Il Vescovo Luis Santos Villeda di Santa Rosa de Copan festeggerà il suo settantacinquesimo compleanno in novembre e prevede di presentare immediatamente le sue dimissioni al Vaticano, come richiesto dal diritto canonico. Una volta che le sue dimissioni saranno accettate egli si sentirà libero dalla responsabilità del vescovo, dice monsignore Santos, e potrà partecipare alla campagna elettorale per la Presidenza come un candidato di un’ala progressiva del partito liberale, il cui ultimo Presidente, Manuel Zelaya, fu deposto in un colpo di stato nel 2009.
"Non aspiro ad essere presidente dell'Honduras. Questa non è una mia idea," confessa il vescovo Santos a Catholic News Service.
Santos ha rivelato che gli era stata richiesto dai leader del partito liberale negli anni novanta e di nuovo nel 2009, di diventare un candidato, ma in entrambe le volte aveva rifiutato.
"Ma ora che sono in pensione come vescovo, spero di parlare con il Papa e ottenere il suo permesso. Vorrei non più essere vescovo o avere qualsiasi ufficio di Chiesa, ma restare solo un prete. Poter celebrare messa privatamente al mattino prima di andare in ufficio alle 8" ha detto Santos.
Il Vescovo Santos è stato a lungo un sostenitore pubblico del partito liberale, la cui bandiera rossa ha contribuito al suo soprannome. Fu anche un avversario stridente del golpe 2009, una posizione che lo mise in disaccordo con il cardinale Tegucigalpa Oscar Rodriguez Maradiaga, che ha sostenuto il colpo di stato.
Gli analisti dicono che il supporto per il colpo di stato del cardinale gli costò un capitale politico; il cardinale è visto molto meno spesso in pubblico in questi giorni. Monsignore Santos, d'altra parte, rimane altamente visibile, nonostante la sua diocesi sia in una zona remota occidentale, che comprende alcune delle comunità più povere dell'America centrale. È stato un sostenitore entusiastico della resistenza, la coalizione di gruppi civili di opposizione al governo dopo il colpo di stato.
Tuttavia, non tutti sarebbe soddisfatti di una candidatura del vescovo Santos.

"La decisione del vescovo di essere coinvolto nella politica dopo il pensionamento come vescovo fa danni alla Chiesa e danni alla politica," ha detto il padre gesuita Ismael Moreno, direttore di Radio Progreso, una stazione strettamente identificata con la sinistra honduregna.
"La politica qui è storicamente legata clericalismo. Così quando un sacerdote o un vescovo decide di partecipare alla sua parte politica, non ci aiutano muoversi verso una cultura politica della cittadinanza” ha detto il padre Moreno.
"E danneggerebbe la chiesa perché egli non sarebbe un vescovo dell'unità o del confronto. Così dividerebbe i cattolici ancora di più di quanto essi siano già divisi ora e non in nome della lotta per i poveri, ma piuttosto in nome della politica di partito. Che sarebbe un danno per quelli nella Chiesa che stanno lottando per servire la comunità senza essere interessati a raggiungere quote di potere" ha detto il padre Moreno.
Thelma Mejia, un giornalista indipendente e analista politico a Tegucigalpa, presenta le difficoltà che Santos possa essere eletto presidente.
"Mentre lui ha l'appoggio all'interno di una fazione del partito liberale, egli non è molto eleggibile data la sua natura polemica e la sua posizione conflittuale permanente. Gli onduregni in generale non amano lo scontro frontale, e dal colpo di stato, siamo ancora più stanchi del confronto" ha detto.
Mejia ha detto che i sondaggi mostrano che oltre il 50 per cento del onduregni si identificano come centrista, indipendenti dai partiti liberale e nazionale, che hanno dominato la politica del paese per un secolo.
"Abbiamo bisogno di un leader politico che fa appello a questo centro, al fine di effettuare la modifica di cui abbiamo bisogno". E nessuno dalla resistenza, né dalla tradizione bipartisan è apparso come potenziale candidato.
Santos vescovo respinge l'idea che i capi della Chiesa devono rimanere all'esterno della politica.
"È molto conveniente per i ricchi che la chiesa rimanga fuori della politica, perché in questo modo possono maltrattare e rubare i poveri senza che la Chiesa protesti. Sono felici perché nessun sacerdote si lamenta. E se uno lo fa, essi lo etichettano come un comunista”, ha detto il vescovo.
"Perché mi coinvolgo nella politica? Perché è la politica che ha sfruttato i poveri" ha detto il vescovo.
I vescovi cattolici in Honduras sono rimasti tranquilli in materia politica perché sono stranieri.
"Se intervengono nella politica interna dell'Honduras, essi potrebbero perdere la loro residenza così, alla fine della giornata, essi rimangono tranquilli. Ma è la politica che rende le persone povere, che lascia le cliniche e gli ospedali senza medicine, che ruba soldi dai villaggi. È la politica che supporta la corruzione dilagante in Honduras. Come vescovo, non posso essere disinteressato della salute e l'educazione dei bambini, l'ultimo dei miei fratelli e sorelle" ha detto il vescovo Santos.

giovedì 6 ottobre 2011

Cina: ancora finanziamenti per sfruttare l'Africa?

Il gigante Cina ancora una volta ha messo 'le mani' dentro al continente nero. Questa volta è stata la Tanzania a chiedere i suoi finanziamenti per sfruttare le risorse di gas, vista la sua cronica dipendenza per le materie energetiche dall'estero. La Tanzania ha come principale fonte energetica l'idroelettrico, che costituisce il 70% dell'energia e che ultimamente, a causa della scarsità delle precipazioni e del cambiamento climatico, sembra in pericoloso declino. La Cina ha assicurato 1,6 miliardi di dollari per sfruttare il gas presente nela zona di Mtwara, a sud della capitale Dar es Salaam, e la costruzione di un gasdotto, che dovrebbe iniziare nel Dicembre 2012. Questo risolvere così i gravi problemi di approvigionamento energetico che hanno causato il razionamento dell'ore di elettricità durante la giornata.
http://www.southernafricareport.com/Member/SecurePages/SecureNews.aspx?niid=11321

lunedì 3 ottobre 2011

La parocchia per creare lavoro

In tempo di crisi, nell'America di Obama, anche la Chiesa cattolcia americana, nelle sue parrocchie si impegna per aiutare la drammatica condizione delle minoranze che soffre più delle altre la mancanza di lavoro. In un tempo di alta disoccupazione, padre Adrew O'Connore, della parrocchia della Sacra Famiglia, nel Bronx newyorkese, ha pensato di andare concretamente in aiuto ai suoi parrocchiani iinstallando una sorta di 'fabbrica' di indumenti con stoffa proveniente dal Guatemala. Padre Andrew è stato 'illuminato', si potebbe dire, non solo dall'esempio di san Paolo, che fabbricava tende, ma anche da monsignore Gregory Schaffer, parroco di New Ulm, in Minnesota, che importava direttamente dal guatemale miele e caffè, portano benefici alla popolazione locale guatemaltca e al mercato americano.
Per leggere l'intera storia: http://ncronline.org/news/faith-parish/parish-turns-manufacturing

sabato 1 ottobre 2011

Lo Zambia alla Cina: rispettate le nostre leggi

Rispettate le nostre leggi, non possiamo permettere lo sfruttamento dei nostri lavoratori zambiani”. Sono dure le prime parole di Michael Sata, nuovo presidente dello Zambia, all’ambasciatore della Cina. Espressioni che avevano già contrassegnato la sua campagna elettorale a difesa dei lavoratori locali e molto critica con le multinazionali, in particolar modo quelle cinesi, che hanno fatto dello Zambia, ricchissimo paese di risorse minerarie, una ‘terra di conquista e sfruttamento’. Leader del maggiore partito dell’opposizione, il Fronte Patriottico (FP), Sata ha vinto con il 43% dei voti le recenti elezioni democratiche multipartitiche svoltesi lo scorso 20 settembre. Soprannominato “il re cobra’, questo 74enne ha ottenuto la vittoria dopo aver perso le precedente due tornate elettorali del 2001 e 2006, presentandosi come la voce dei poveri e degli sfruttati, soprattutto delle città e dei giovani. Sata ha costruito la sua immagine di uomo politico carismatico attraverso alcune iniziative politiche attuate durante i suoi precedenti incarichi a livello locale nel settore della sanità, igiene e dell’educazione, come quando introdusse una legge contro “chi urina, defeca e sporca nei luoghi pubblici” o come quando si presentava improvvisamente negli ospedali e rimproverava o sanzionava pubblicamente e duramente gli “impiegati pigri e improduttivi”. Sata, che ha costruito in pochi anni un vasto partito politico attraversando in lungo e in largo le campagne dello Zambia, saputo vincere contro il potente Rupiah Banda, del partito del Movimento per una Democrazie Multipartitica (MDM), rimasto al potere per 20 anni, che aveva fatto della crescita economica un vanto personale. La fase pre-elettorale è stata caratterizzata da forti tensioni e violenze, come spesso accade nei paesi africani, dove le diverse appartenenze etniche e tribali, segnano ogni livello e genere di relazione e rapporto, politico e sociale.
Dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’Inghilterra nel 1964 e un sistema multipartitico nel 1991, lo Zambia, con i suoi 12 milioni di abitanti, ha raggiunto nell’ultimo decennio grandi livelli di crescita economica. Secondo i dati ufficiali, confermati anche dalla Banca Mondiale, il tasso medio di crescita è stato del 5-6%, addirittura del 7.6% nel 2010. Trainata soprattutto dalla estrazione di rame, di cui è tra i maggiori esportatori mondiali, il documento Zambia Vision 2030, ha allargato anche al rinnovamento del settore agricolo e delle infrastrutture gli sforzi di politica economica. Anche il recente piano quinquennale di programmazione 2011-2016, dal titolo “Sostegno alla crescita economica e alla riduzione della povertà”, ha ulteriormente focalizzato la strategia a medio termine sulle infrastrutture e sul capitale umano. Per questo le parole di Sata sono state un forte e chiaro avvertimento a tutti gli investitori stranieri, e cinesi in particolare, che dovranno “dare salari più equi ed elevati ai lavoratori locali e valorizzare i zambiani nelle piccole attività, come i ristoranti, evitando di importare forza lavoro straniera a discapito di quella interna”. La Cina, infatti, ha investito molto in questo paese africano. Il paese africano, infatti, pur avendo raggiunto alti livelli di crescita, non ha visto una giusta ed equa redistribuzione della enorme ricchezza creata dalle multinazionali. Secondo un rapporto dell’agenzia della Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) la malaria causa ancora oggi 50 mila morti ogni anno (il 23% di tutte le mori del paese), la diarrea circa il 7%. Secondo un studio di una ong locale, riporta l’agenzia fides, solo il 58% degli abitanti dello Zambia ha accesso ai servizi igienici sanitari adeguati, mentre il 13% non dispone di nessun tipo di  toilette. Il governo ha provveduto a migliorare i sistemi idrici e sanitari nelle zone urbane, lasciando gli insediamenti urbani semiperiferici ad alta densità di popolazione, privi di spazi, con un terreno povero non adatto alla costruzione di latrine e con una precaria rete stradale che ha contribuito ad aggravare seriamente i problemi di drenaggio delle acque. Nonostante i progressi ottenuti il 59% della popolazione vive la linea di povertà, dei 2 dollari al giorno, e il 37% è estremamente povera. Anche il dramma dell’HIV/AIDS aggrava la situazione dei poveri, ed è ancora molto diffuso. Secondo il Consiglio Nazionale della lotta all’Aids, un adulto su tre è infetto e i dati del 2009 dicono che ogni giorno 200 adulti contraggono l’infezione. Le voci critiche non mancano, come quella del Jesuit Centre for Theological Reflection di Lusaka, che nel riconoscere questi progressi macroeconomici, ricorda però che “la crescita economica non si traduce automaticamente in sviluppo economico attraverso l'effetto trickledown”, la teoria secondo cui la ricchezza accumulata da pochi avrà effetti positivi anche sugli strati sociali meno abbienti aumentando il benessere sociale dell’intera collettività. “La teoria altamente pubblicizzata del trickledown - continua la nota - è più una forma di retorica politica che una realtà. Essa può produrre crescita economica, ma non sempre garantisce lo sviluppo economico. I cittadini dello Zambia hanno bisogno di vedere cose tangibili, come l'accesso ai servizi sanitari di qualità, all’acqua potabile, ad un alloggio e ad un lavoro dignitosi, di avvertire l'effetto della crescita e non di mere statistiche economiche”.
“La crescita economica della quale siamo così orgogliosi non deve farci perdere di vista l’obbiettivo dello sradicamento della povertà e della disuguaglianza nello Zambia” affermano i gesuiti. I religiosi criticano in particolare il modo con il quale viene ridistribuita la ricchezza prodotta: “un’economia in crescita che destina solo lo 0,2% del bilancio del 2011 ai fondi sociali per le persone più vulnerabili, che costituiscono la maggioranza della popolazione, e che permette solo al 36% della popolazione di vivere al di sopra della linea di povertà, non è una crescita della quale essere orgogliosi. Dopo aver messo l'economia sul sentiero della crescita, il Governo ha di fronte una sfida più grande: garantire che la crescita economica sia equamente condivisa”. L’Indice di Sviluppo Umano dell’ONU del 2010 ha mostrato chiaramente come le condizioni di vita si siano deteriorate in Zambia, e come il Paese sia uno dei tre Paesi che stanno peggio di come stavano nel 1970. Le sfide del neo presidente sono ancora tante, ma il sostegno della popolazione e delle maggiori istituzioni internazionali sono un buon auspicio.